giovedì 6 agosto 2015

Hiroshima


Ogni 6 Agosto, mi sveglio con negli occhi l'immagine della speranza.
La speranza di colorate collane di origami a forma di Gru; di alberi e cespugli fioriti di rosa, di orchestrine sgangherate che suonano sulle sponde del fiume Motoyasugawa. Di brulicare di gente tra i negozi colorati, i palazzi e gli accrocchi di fili elettrici agli angoli degli edifici.
Mi sveglio e non posso fare a meno di ricordare Hiroshima e la sua cupola vuota, Hiroshima e la sua storia che ti spezza il cuore ma che ti lascia tra le dita un'indefinibile sensazione di speranza.

Perchè Hiroshima è una città viva, più viva di molte altre, piena di correnti sotterrane di memoria. Ho camminato per quelle strade teatro di morte e di rinascita, consapevole di solcare un suolo in qualche modo sacro. E sono felice di averlo fatto, di aver visto, di aver capito quello che sui libri di scuola, sugli articoli di giornale, nei documentari dell'istituto Luce, si può solo intuire.

Sono felice di poter un giorno guardare negli occhi mio figlio e rispondere alle sue domande sapendo rispondere davvero. Di potergli insegnare cosa il passato insegna, raccontargli della forza, della vitalità che mi sono rimaste addosso da quell'esperienza. Perchè nonstante sia un'esperienza che ti strazia, fa bene, fa tanto bene all'anima.

A piccoli passi, procedendo lentamente dentro il Museo della Pace, si arriva in fondo, e si esce straziati, ma con il cuore più pulito. Si esce di lì, e fuori ad attenderti c'è il sole, ci sono i fiori, ci sono i vivi.
Ci sono le persone, con la loro intrinseca bellezza, che prima non vedevi, non notavi, che ora è violentemente visibile anche se nascosta dietro schiene curve, denti storti, pancie grasse.
Ci sono i suoni. Le risate dei bimbi, il tubare dei piccioni ed il frinire delle cicale. I colori azzurri del cielo e dell'acqua, i riflessi della bellezza; gli odori dei banchetti di okonomiyaki, lo sfrigolio delle griglie che mette l'acquolina in bocca.

Torno a casa, mi porto dietro il mio piccolo, prezioso bagaglio di ricordi, e mi sento un pò Hibakusha anche io. Sopravvissuta grazie ai sopravvissuti, che raccontano, come le stesse pietre della città, come fare a farcela, a ricostruire, a vivere, a gioire, a ricordare per poter guardare avanti e sorridere.

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